Una caligine sottile ma corrosiva si insinua tra le pagine di La catena del suicida (Giovane Holden Edizioni, 2025), avvolgendo una Londra metropolitana e mefitica. È la cifra stilistica di Maria Borghini, autrice toscana che manifesta una solida padronanza della tradizione mistery filtrandola attraverso le lenti delle psicologie complesse tipiche del noir contemporaneo. In questa sua ultima fatica, la Borghini intensifica la sua voce, raggiungendo una risonanza più cupa e penetrante, l’equivalente letterario di un segreto inconfessabile che afferra il lettore senza concedere tregua.

Già nota per lavori come Il ghigno della Volpe e L’altra vita del gatto—quest’ultimo insignito di un riconoscimento al Concorso Letterario Giuseppe Antonio Borgese—l’autrice pisana apre La catena del suicida con un esordio brutale: il tonfo sordo di un corpo che precipita. La Borghini non indugia, trascinando il lettore in medias res nel vortice dell’evento: la caduta di Sir Roland Rotter, un politico di spicco.

L’indagine respinge immediatamente le superficiali conclusioni di “suicidio” o “fatalità” avanzate dalla stampa e dall’opinione pubblica. L’autrice stabilisce un patto narrativo che mette alla prova il lettore: il romanzo infatti non si limita all’intrattenimento ma vuole dissezionare la verità nascosta sotto la patina della superficie e della rispettabilità istituzionale.

L’impressione di lettura che ne emerge da subito è quella di un testo che lavora per sottrazione sulle certezze, instillando un dubbio sistematico fin dalle prime battute. Il suicidio apparente è solo la punta di un iceberg di corruzione e omertà che la Borghini è determinata a esplorare senza mezzi termini.

Il compito di smascherare l’apparenza spetta all’esclusivo duo investigativo: Mary Sabatini, detective dalla psiche tesa e reattiva, e il sergente Sean O’Connors ironico ma incrollabile. Sono loro a individuare le micro-fessure, quei dettagli scartati che incrinano la versione degli eventi. La vittima funge da catalizzatore per un’indagine che è, di fatto, uno scavo sociale impietoso. La Borghini mette a nudo gli aspetti meno edificanti della società: il peso delle esistenze sacrificate, la fragilità intrinseca delle istituzioni e la fallace convinzione che il dolore sia un’entità privata e circoscritta.

L’indagine, orchestrata con metodo e precisione, si palesa subito irta di complicazioni e cose non dette. L’autrice è abile nel restituire un senso pervasivo di inquietudine: Sabatini e O’Connors si muovono in uno scenario dove le implicazioni emotive — un figlio recluso, speculazioni edilizie macchiate, una moglie enigmatica custode di indicibili segreti— esercitano una pressione pari, se non superiore, alla fredda logica forense.

Il punto di forza strutturale del romanzo risiede proprio nella sua capacità di intrecciare la rigorosità investigativa con la pericolosa temperatura emotiva che coinvolge tutti i personaggi, inclusi gli stessi protagonisti. Ogni nuova acquisizione probatoria comprime ulteriormente il mistero, incrementando la tensione in modo subdolo e inesorabile.

La stessa ambientazione, Londra, è un organo pulsante. L’autrice trasforma  la città in un corpo narrativo vivo i cui dettagli architettonici, climatici e sociali non sono mai casuali. La metropoli diviene la cassa di risonanza perfetta per l’inquietudine, amplificando il senso di isolamento precarietà dei protagonisti: la nebbia iniziale con sui si apre la vicenda simboleggia la cecità etica del potere e l’opacità dei segreti che la squadra è chiamata a penetrare. L’autrice utilizza la stratificazione urbana, dal lusso sfacciato dei quartieri alti al sottobosco nascosto, per riflettere la stratificazione della verità che i detective devono disvelare, rendendo l’ambientazione un vero e proprio coprotagonista catalizzatore di tutti i sentimenti e i pericoli.

Maria Borghini ha assimilato e modernizzato la lezione dei classici infondendo una profondità psicologica notevole anche nelle figure più sfuggenti che popolano il suo libro. La catena del suicida  si configura così come un giallo impeccabile sotto il profilo narrativo e, parallelamente, come una meditazione sottile sulle dinamiche del potere, sulla psiche umana e sulla natura ambivalente dell’amore (sia esso forza salvifica o distruttiva).

Per tutti gli aspetti che la caratterizzano, la catena del suicida è un’opera che impone un ritmo di lettura rallentato per gustarne tutta la tensione. La narrazione si sviluppa con magnetica abilità, snodando la trama senza cadere nel compiacimento, rivelando ambiguità e connessioni con un ritmo narrativo calibrato e intenso. Il climax finale sopraggiunge come un colpo decisivo e ben assestato: necessario, ma mai scontato.

Il risultato è un testo originale e disturbante, che costringe il lettore a una costante messa in discussione delle proprie certezze. Al termine dell’indagine, la questione etica fondamentale rimane sospesa e aperta: qual è il peso reale e collettivo di una vita infranta? Borghini non offre risposte consolatorie ma trascina il lettore fino all’ultima riga con la consapevolezza che, sotto la sua direzione, i misteri diventano implacabili specchi attraverso cui siamo obbligati a confrontarci con le zone d’ombra. Una scrittura che, al pari della nebbia londinese che descrive, penetra ovunque e lascia un segno indelebile.


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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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