C’è chi la montagna la vive come una sfida, chi come un rifugio, e chi come un luogo di scoperta, di silenzio e di ironia. Nel suo nuovo saggio, La montagna. Istruzioni per l’uso (Laterza, 2025) l’autrice Giulia Negri accompagna il lettore lungo i sentieri dell’altitudine, tra salite che mozzano il fiato e risate che lo restituiscono. È una guida pensata per tutti noi che arranchiamo più che arrampichiamo, che guardiamo le mappe dei sentieri con sospetto, che sobbalziamo per ogni fruscio tra i cespugli ma che, nonostante tutto, continuiamo a cercare quel “raggio verde” che solo la montagna sa regalare.
Il libro non è soltanto un manuale di sopravvivenza per escursionisti distratti ma un invito a guardare l’ambiente alpino con occhi nuovi: a riconoscere la sua bellezza e la sua severità, a rispettarne i pericoli, a prepararsi con consapevolezza e un pizzico di autoironia.
Tra consigli pratici, curiosità naturalistiche e incontri più o meno ravvicinati con animali e “fobie striscianti”, Giulia Negri intreccia racconto, esperienza e divulgazione. Con la leggerezza di chi conosce la fatica e la pazienza della salita, trasforma ogni passo in un’occasione di conoscenza e ogni errore in un aneddoto prezioso.
Fisica di formazione, giornalista e divulgatrice scientifica, Giulia Negri ha conseguito un Master in Comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste e ha frequentato la Erice International School of Science Journalism. Collabora come freelance con la Repubblica, Le Scienze, Il Tascabile e Wired. In passato ha lavorato nel gruppo di Outreach di ATLAS al CERN, nell’organizzazione di eventi scientifici, nell’editoria scolastica e come social media manager. Da sempre grande amante della montagna, nel 2018 ha realizzato il sogno di trasferirvisi a tempo pieno, diventando anche maestra di sci.
Con lei parleremo di come è nato questo libro, di cosa insegna la montagna a chi la ascolta davvero, e di come tra fatica, meraviglia e qualche imprevisto si possa imparare a salire con passo più leggero, dentro e fuori dai sentieri.
Intervista con l’autrice
Nel suo libro la montagna emerge come un’esperienza totalizzante, ben oltre il semplice turismo. Qual è il cuore emotivo e narrativo di questa guida?
Credo che il cuore emotivo e narrativo del libro siano l’onestà, il tono e l’amore: non parlo dall’alto di chi è convinto di fare sempre tutto alla perfezione, ma dall’esperienza di chi ha sbagliato, arrancato, avuto paura. Racconto molti dei miei errori con la speranza che chi legge possa avere gli strumenti per non compierli – potete inventarne di nuovi, l’unico modo per non sbagliare è non fare mai nulla… Eppure, nonostante le difficoltà e gli inciampi, il mio amore per la montagna dura, direi, da quando sono stata in grado di provare sentimenti per qualcosa, al punto da avermi spinta a farne la mia casa, a viverla tutti i giorni, tutto l’anno, e quindi poterla raccontare sia quando è al culmine della bellezza, sia quando si fa più ruvida e rende il volerle bene un po’ più complesso. Il tono, comunque, cerca sempre di restare piuttosto ironico: è un libro che sdrammatizza senza banalizzare, che insegna cose concrete, ma dentro una cornice emotiva, che invita ad allargare lo sguardo, a ricercare cose in grado di restituirci meraviglia e senso di proporzione.
In un’epoca in cui ci affidiamo ciecamente al GPS, perché è ancora fondamentale sapere leggere una mappa o preparare lo zaino con cura?
Anche molte app di tracciamento delle escursioni ci mostrano, di fatto delle mappe. Saperne leggere una ci è utile, perciò, sia per pianificare la nostra uscita dal cellulare, sia nel caso in cui non ci sia campo – e noi potremmo esserci dimenticati di fare il download – o la nostra batteria sia agli sgoccioli e si passi a quel punto al cartaceo. Per quanto riguarda lo zaino, invece, è importante valutare cosa portare con noi in base all’escursione che faremo, magari facendoci una lista di massima – si può prendere ispirazione da quella presente nel libro, volendo -, perché è davvero semplice dimenticare qualcosa che poi ci troviamo a rimpiangere di aver scordato. Oltre a questo, anche l’ordine in cui inseriamo tutto all’interno è rilevante: non è come mettere i libri in una cartella, e da lì scegliere quello che ci serve al momento opportuno. Se inizia a diluviare, dobbiamo avere lo strato impermeabile subito a portata.
Camminare in montagna, tra boschi e crinali, ci costringe a rallentare e ad ascoltare il silenzio. Secondo lei, questa esperienza può davvero trasformare il nostro modo di stare “a valle”, nella vita di tutti i giorni? In che modo?
Credo che ognuno si approcci alla montagna con bisogni diversi. C’è chi lo fa per il silenzio, chi per sentirsi più vicino alla natura, chi per cercare di vedere animali, chi per fare festa con gli amici, chi per mettersi alla prova con sé stesso o sé stessa, chi per polenta e formaggio in rifugio, chi per i panorami, chi per condividere sui social media la propria esperienza… Ognuno, quindi, nel momento in cui avrà soddisfatto quel bisogno, proverà auspicabilmente gioia e una sensazione di realizzazione: sono, però, esperienze così diverse a livello individuale, da rendere difficile cercare di immaginare cosa si potrebbe esportare nella vita di tutti i giorni. Poi, la montagna può rappresentare un’interruzione – spesso salutare – dalle nostre vite frenetiche, una pausa che ci mostra che un altro ritmo, un altro approccio, o anche solo una vita più all’aperto sono possibili, ma non è una cura miracolosa.
Proteggere la montagna è un compito che inizia dai piccoli gesti: quali sono, secondo lei, le azioni concrete che ognuno può adottare?
Credo sia importante cercare più in generale di proteggere maggiormente l’ambiente: il problema più grande sono i cambiamenti climatici, e per quelli l’azione deve essere globale. Poi, nel particolare, la montagna è un ambiente fragile, e possiamo avere delle accortezze per cercare di minimizzare il nostro impatto. Come prima cosa, di sicuro, riportiamo a valle tutto quello che avevamo con noi nel corso della salita, fazzoletti, sigarette e cenere comprese; non disturbiamo e non diamo da mangiare agli animali, ma limitiamoci a osservarli nel caso fortuito di un incontro; non raccogliamo fiori, bacche o funghi che non conosciamo, e facciamolo solo se e dove è consentito. Proviamo a esplorare zone nuove, magari più vicine a casa se abbiamo poco tempo, spostiamoci in maniera sostenibile, privilegiamo – se ci è possibile – i periodi meno congestionati. Si possono, poi, scegliere strutture più sensibili al proprio impatto sull’ambiente, optare per indumenti tecnici di qualità (volendo acquistandoli usati o noleggiandoli), privi di sostanze nocive… La lista, volendo, può continuare.
La montagna è maestra severa, spesso insegna attraverso l’errore. Qual è stato l’errore che la montagna le ha restituito come la lezione più preziosa?
L’errore che ha lasciato una traccia più profonda in me è stato probabilmente quello legato all’essermi fidata in maniera eccessiva delle previsioni di una applicazione per il meteo. Era segnalato l’arrivo di una perturbazione (pioggia, in ogni caso) nel tardo pomeriggio. Stavo facendo un’escursione piuttosto lunga, ma ero tranquilla, pensavo di avere tutto il tempo di arrivare alla macchina prima che cadessero le prime gocce, invece mi sono ritrovata appena dopo pranzo in mezzo ai fulmini – e, per fortuna, viste le nuvole avevo deciso di abbreviare il percorso. Credo sia stato il momento in cui ho avuto più paura in montagna. Da lì, ho intervistato un meteorologo, ho fatto un piccolo corso di meteorologia alpina, presto molta più attenzione e, se ho anche solo il dubbio che nuvole temporalesche si stiano avvicinando, torno indietro.
Se dovesse indicare tre motivi per cui valga la pena leggere il suo libro, quali sarebbero? E chi immagina come lettore ideale?
Per prima cosa, per stupirsi: anche chi conosce le terre alte è riuscito a trovare tra le pagine qualcosa che ancora non sapeva. Poi, per sentirsi accolti: non sempre la montagna riesce a far sentire tutti benvenuti, soprattutto se principianti; è piuttosto diffuso l’atteggiamento di gatekeeping nei confronti di questo ambiente: se non si è di lì, o se non si è comunque grandi esperti, non si è “degni”. Mi piacerebbe contribuire a scardinare questo tipo di pensieri e atteggiamenti. Infine, per divertirsi: perché non è solo una guida, ma anche una raccolta di storie, avventure e disavventure; è, prima di tutto, un libro piacevole da leggere.
Credo che il lettore ideale vada da chi è del tutto digiuno di montagna, a chi già la frequenta o la vive ma vorrebbe conoscerla ancora meglio, in particolare dal punto di vista naturale, climatico, capire come sta cambiando… E, soprattutto, per chi ha paura di non essere abbastanza preparato, abbastanza allenato, abbastanza “montanaro”: spero che tra queste pagine riesca a trovare il messaggio “tranquillo, si può fare, e vediamo insieme come”.
