Io volevo i tacchi a spillo, Daria Collet, Just Read 2025

Qual è stato il momento in cui hai capito che era arrivato il tempo di raccontare la tua storia attraverso un libro?

Io, vent’anni fa, mi sono operata a Trieste. E poi, con la fantasia, io avevo già deciso di fare un libro. Però la mia psicologa di Trieste mi aveva detto di rimanere in incognito, che tanto ero operata, e di non raccontare a tutti. Se incontravo un ragazzo, di non raccontargli la mia verità. Solo che io sono esibizionista, e mi piaceva sentirmi importante. E allora la mia storia l’avrei voluta raccontare a tutti. E adesso, poi crescendo, ho capito che facendo questo libro posso aiutare gente che non ha il coraggio di farsi operare come me.

Com’è stato crescere nella provincia italiana tra “borgate polverose e tradizioni soffocanti”?

Ho faticato tanto, perché poi ero l’unica in vallata. I miei genitori mi vedevano male, i miei parenti, mia nonna mi tirava i calci nel sedere perché sculettavo a sei anni… Ho faticato tanto, perché ero nel corpo sbagliato. Però poi, io che sono molto comica, ero in un corpo sbagliato ma io ero un corpo giusto. E quindi facevo capire alla gente che tanto mi facevano del male, e io mi comportavo da femmina. Anche se poi non ho avuto occasioni, a 15 anni, 16 anni, di avere rapporti sessuali… però io ero donna. Ero una donna. Un po’ di icile farmi capire dalle altre persone.

Ha incontrato più ostilità o più solidarietà nel suo percorso verso il cambiamento? Cosa l’ha ferita di più e cosa, invece, l’ha salvata?

Mi ha salvata il mio menefreghismo. Quando ho cominciato a travestirmi, nell’87, che poi andavo al Mauriziano… E certo che ho so erto, perché comunque non potevo fare come le mie sorelle, non ero così libera di fare una vita femminile. Ero nascosta, e stavo male, perché non potevo indossare vestiti, e lo facevo di nascosto.

Nel suo libro si parla anche di sogni: vestiti leggeri, bouquet di spose, fiori. Quanto è stato importante non rinunciare mai a sognare?

Io non ho mai rinunciato a sognare, perché tanto nella mia fantasia me la sono sempre cavata. Altrimenti mi sarei già suicidata da tanto. Invece, usando la fantasia — che ora sono contessa di Balma — mi sono salvata. Sono sempre stata una che non capiva le cose. Infatti, se dovessi farmi operare adesso, ci penserei due o tre volte. Invece sono proprio partita, fatto tutto, magari ingenuamente, magari inconsciamente… però volevo una cosa, e cercavo di farla. Poi, col tempo, mi sono poi tirata fuori davanti a tutta la gente. O se no mi travestivo e facevo i bouquet da sposa di nascosto. Però nella mia fantasia sono sempre stata romantica. Io amo l’amore. Sono sempre stata carina, fine, dolce e romantica.

Che cosa vorrebbe dire oggi a chi si sente intrappolato in un’identità che non riconosce come propria?

Beh, gli direi di andare avanti e di avere coraggio. Mai tentare il suicidio. Di essere se stessi e di essere forti. Perché tanto, se non lo fai da sola, nessuno ti dà una mano.


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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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