
Il cielo è d’acciaio, Michela Marano, Capponi Editore 2025.
Buongiorno Michela, parliamo del protagonista Ruslan. Cosa l’ha portata a raccontare la sua storia e quale messaggio custodisce questo personaggio?
Ruslan rappresenta le aspettative serbate da ogni giovane e che si attende possano realizzarsi; rappresenta la fiducia riposta in un futuro costruito a partire da un presente lavorato, in buona parte, dagli adulti. Il nostro protagonista studia in una scuola di Mariupol e dentro di sé nutre il desiderio di realizzarsi, di dare forma ai propri desideri, fin quando una decisione estranea alla sua volontà infrange ogni sogno. E così la guerra nella sua nazione è per Ruslan una cornice stretta che evidenzia la rappresentazione peggiore dell’umanità, come, di riflesso, ogni ostacolo che impedisce di manifestare le proprie potenzialità, di esprimerle al meglio, solo perché c’è una sovrastruttura che impone altro. Il nostro protagonista sicuramente è un personaggio che reagisce pur se vede cadere poco per volta le illusioni; tuttavia Ruslan evoca soprattutto la forza d’animo di affrontare ogni tempo avverso, pur nella disillusione.
Come si è approcciata alla narrazione della guerra e delle sue conseguenze sulla vita dei protagonisti?
Quando è scoppiato il conflitto russo-ucraino nel febbraio 2022, pensavo ad una guerra repentina; pensavo, ma erroneamente, che grazie alla diplomazia raggiunta negli ultimi anni, e soprattutto dopo le passate guerre del Novecento che hanno restituito la convinzione che la guerra sia da evitare e che, anzi, ci si debba adoperare ad ogni costo al mantenimento dell’equilibrio, quindi della pace duratura; al contrario, dal passato abbiamo imparato poco o nulla. Friedrich Hegel, filosofo tedesco, sosteneva che tutto ciò che l’uomo ha imparato dalla storia, è che dalla storia l’uomo non ha imparato niente: una sovrapposizione di termini, quasi un gioco linguistico che, intanto, restituisce per bene il significato e la nostra condizione attuale. Nelle pagine della narrazione ad un certo punto dico che la guerra rappresenta una censura del presente e della vita futura: ogni guerra è una tragica limitazione per chiunque la vive, è un ricordo brutalmente perenne anche in una riconquistata normalità.
La guerra è una terribile censura della vita che è stata, è una terribile censura della vita che sarà.
Il cielo è d’acciaio
Qual è stata la sua intenzione nel raccontare il conflitto in Ucraina, e come spera che il pubblico reagisca nel leggere una testimonianza così intensa e personale di un giovane durante la guerra?
La narrazione procede su un doppio binario: la realtà della guerra tuttora in corso e la costruzione verosimile dei personaggi. Quando la guerra russo-ucraina è diventata una certezza costante, il mio pensiero è andato a tutte le terre e ai popoli martiri dove ogni conflitto si trasforma nella negazione della vita stessa. Credo che l’intenzione di raccontare questo contesto, sia racchiusa nella dedica: il mio pensiero, spontaneamente, è andato agli innocenti di ogni guerra ingiusta, a chi è costretto a subire decisioni prese da una ristretta minoranza capace di esercitare ogni forma di controllo e di prepotenza, e in questo, ricordo con commozione i racconti dei miei nonni paterni, testimoni prima della disumanità della seconda guerra mondiale e poi dell’emigrazione negli USA, del loro ritorno in Irpinia, mossi sempre dalla costruzione di un futuro migliore. Perché nonostante tutto, in ognuno di noi deve prevalere la convinzione che l’unico sollievo a ogni male sia una ragionevole e saggia operosità.
Il personaggio di Ismael è centrale per la crescita di Ruslan. Qual è il suo ruolo in questo processo e come, attraverso di lui, ha raccontato il percorso di maturazione di Ruslan, tra incertezze, paure e scelte?
Ismael viene presentato poco dopo la fuga da Talakivka: Ruslan vede crollare tutte le certezze e quel suo mondo che lo aveva protetto e fatto sentire al sicuro, si sfalda, cede come un castello di sabbia. Ruslan ha vissuto la partenza del padre per il fronte ucraino: sottrazione ingiusta che ritorna pur nella speranza di rincontrarlo e di poterlo riabbracciare. Così Ismael, con cui Ruslan stringe subito amicizia, è la trasfigurazione letteraria della figura paterna: il giovane protagonista ne è prontamente attirato dai suoi racconti, dalle sue origini, da una storia comune perché anche Ismael aveva perso i genitori troppo presto e, intanto, con tanta forza di volontà aveva tirato avanti pur di realizzarsi, pur di tenere vivo il ricordo dei suoi cari. La natura del personaggio di Ismael, è sicuramente paradigmatica nella maturazione di Ruslan: la sua forza d’animo è fonte da cui attingere coraggio per la sopravvivenza pur nell’abietta guerra.
Il tema della resistenza civile emerge come una scelta fondamentale per il protagonista. Qual è il significato di questa decisione e cosa intendeva esplorare con la riflessione sulla lotta e sull’impegno civico?
Ruslan ha la possibilità, assieme alla madre e alla sorella più piccola, di voltare pagina, di superare il confine ucraino e portarsi in salvo in una città europea, ma non lo fa. Dentro di sé tante emozioni si agitano: il suo cuore appare come un giacimento di paura, indignazione, speranza. Dinanzi a questo costante flettere tra pessimismo e quasi ottimismo, Ruslan sa di avere un impegno: la lotta civile per il suo popolo sopraffatto dalle prepotenze nemiche. E così prima il macabro spettacolo delle fosse che ospitavano morti anonime, poi i giorni trascorsi nell’acciaieria Azovstal, rappresentano fonti di riflessione sul lento, ma graduale, processo di disumanizzazione e sulla scelta coraggiosa di partecipare a ogni evento, perché in ognuno di esso è possibile scorgere una verità che aspettiamo. Ruslan vive la duplicità del conflitto: esterno, nella guerra della sua patria, interno, nel passaggio alla vita adulta. Così, attraverso la guerra e all’impegno civile che ne assume, il giovane protagonista vive la possibilità di ri-scoprirsi, di dare spazio e forma al suo nuovo Esser-ci.

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