Articolo di Andrea Sartore

L’ho scritto, cancellato, riscritto. Una, due, tre volte. Forse ho perso i conti, infondo non importa. A un certo punto ho capito di dover mollar la presa, di abbandonare la pretesa di restituire a chi leggesse la caratura, il peso, l’importanza di “Delitto e castigo”. E’ probabilmente la stessa sensazione che ci pervade quando siamo di fronte all’opera dei geni, quella sindrome di Sthendal che ti lascia addosso le vertigini, il sudore freddo, un certo grado di mutismo e incomunicabilità che è connaturata nell’aver per un attimo sfiorato il centro nevralgico della vita. Il suo palpito eterno.  Barthes intendeva forse qualcosa di simile quando sosteneva che soltanto ciò che non riusciamo a definire può davvero pungerci. E io, questo libro, per quante volte possa leggerlo, so che è destinato a  “pungermi” per sempre.

In questo articolo andrò forse a spanne, a volte disordinatamente, altre volte lasciandomi a sentimentalismi, malinconie, iperbole. Tutto è più complicato. Troppo più complicato per essere costretto tra i confini di una pagina bianca. Dovrei scusarmi, ma l’obiettivo è sempre uno solo: invogliare a leggere. Cercherò di non dire troppo per non rovinare la sorpresa a nessuno. Cercherò di dire abbastanza per ridurre l’attrito fra le vostre mani e questo volume. Di qualsiasi natura esso sia.

Siamo a Pietroburgo, in una piccola mansarda. Claustrofobica, sporca, buia. Dentro ci vive Raskolnikov, giovane studente universitario di legge, mangiato dalla povertà e dai sensi di colpa. E’ lì grazie ai sacrifici della madre, alle privazioni dell’amata sorella. Quel peso lo sente piombargli sul petto ogni notte, fra febbri mentali, fisiche, incubi, sogni lucidi. E’ dentro il turbinio di uno di questi stati lisergici, (nevrotici direbbe Freud), che concepisce una via di fuga: uccidere una vecchia usuraia per rubarle i soldi necessari e ritornare finalmente a galla, riprendere una vita dignitosa, normale. In una parola: respirare. Di nuovo. La gestazione di questa scelta è raffigurabile in una discesa vorticosa negli inferi del pensiero,  nei suoi anfratti più scuri e inaccessibili, quelli che soltanto a intuirli mettono i brividi. Pensieri che tentano di giustificare, rendere appetibile, accettabile, in un certo senso condivisibile e necessaria un’azione violenta, omicida.  

La storia di Delitto e Castigo comincia a muoversi a partire da questo episodio. Ed è una storia piena di colpi di scena, di giravolte inaspettate, di storie che nascono e muoiono negli angoli di una città divisa, misera e ricca insieme.

Difficilmente la vita vi permetterà di dimenticare i turbamenti psicologici di Raskolnikov, i suoi conflitti morali, le sue lucide pazzie. Difficilmente potrete passare indenni la tragedia umana di Marmeladov,  l’amicizia incondizionata di Razumichin, l’amore fraterno di Dunja, la pochezza di Svidrigajlov, la finezza investigativa di Porfitij e poi l’infinita, incrollabile, dignità di Sonja, costretta da un destino crudele a prostituirsi per mantenere la famiglia. Sarà l’incontro con lei, con la sua ontologica fede e nobiltà d’animo, a incrinare le convinzioni (a tratti nietzschiane) di Raskolnikov, a portarlo sulla via della redenzione, in un percorso fatto di fatica, sudore e dolore.

Il romanzo di Dostoevskij è quanto di più tragicamente umano la letteratura abbia forse mai concepito. E’ un libro che riesce a tenere uniti il cielo e la terra, in un’operazione talmente acrobatica e divina che con lo scorrere del tempo si può presagire la sensazione che tutto sia sul punto di crollarvi addosso. E’ la testimonianza viva, pulsante, di uomo al di là della normalità, capace di tinteggiare e portare alle estreme conseguenze un’idea. E’ la prova scritta di un genio costretto a vivere in  un corpo viziosamente umano. Avere riflesse negli occhi le pagine di Delitto e Castigo significa anche percepire il tremolio, la fatica intellettuale e fisica della persona che l’ha scritta:  costretta a strisciare in un pantano di compromessi, scarsezze economiche, problematiche familiari, epilessie, gioco d’azzardo, ma capace di vedere una porzione di cielo e intuire l’infinità bellezza dell’universo. In un certo senso mozartiano. In un altro tragicamente umano. Destinato a condividere con l’umanità le sue naturali pulsioni. Cruentemente solitario nel gestire i picchi e le cadute della sua unica genialità.

“Soffrire e piangere significa vivere”.

Delitto e castigo

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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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