Lungo il confine è il frutto di un’ispirazione improvvisa, di quelle che non ti lasciano più in pace, oppure di un’idea che ha covato a lungo dentro di lei prima di trovare la forma giusta?

Tutto è partito da un’immagine che si trova nelle prime pagine e che mi ha suggerito “l’esistenza” di Faraday, da quel momento direi che sono stati i personaggi e le loro azioni a “guidarmi” nella stesura del romanzo. Per intenderci, uno tra i protagonisti sarebbe dovuto essere il primo a morire, e invece ha lottato con le unghie e con i denti ed è riuscito ad arrivare alla fine del romanzo per sua volontà.

Parliamo di ambientazione. La frontiera tra Stati Uniti e Canada: cosa rappresenta per lei quel confine, fisico e simbolico, e in che modo l’ha aiutata a raccontare la tensione tra libertà e legge, tra sopravvivenza e redenzione?

    Il confine è un concetto affascinante, presente nelle nostre vite anche dove e quando non lo percepiamo: in questo caso ambientare la storia tra Stati Uniti e Canada non è stato altro che una metafora di tutti i confini che ogni personaggio attraversa o ha dovuto attraversare per arrivare dove si trova, con la consapevolezza che l’ultimo confine, quello della morte, potrebbe essere più vicino di quanto non si possa pensare.

    Reznor, Grissom e i giovani banditi formano un mosaico umano complesso.
    Come sono nati questi personaggi e cosa ha voluto esplorare, attraverso di loro, delle fragilità e delle illusioni che muovono gli esseri umani?

    Come accennavo nella risposta alla prima domanda, potrei tranquillamente affermare che sono nati ed hanno vissuto quasi autonomamente, prendendo strade che neppure io inizialmente avevo previsto per loro: attraverso di loro ho voluto mostrare tutte le sfumature dell’essere umano, che anche quando può essere considerato “buono” o “cattivo”, porta dentro una varietà di emozioni e punti di vista che lo terranno un passo indietro rispetto agli “estremi”. La Natura, invece, diviene un arbitro ineluttabile al di sopra di tutti.

    Nel romanzo il confine non è solo geografico ma anche morale e interiore.
    Lei si sente più vicino a una visione “morale” o a una lettura più esistenziale?

    Il confine geografico che ho utilizzato è una cornice fisica per un’esplorazione di quelli morali e interiori di ognuno dei personaggi: anche i più crudeli tra loro, infatti, nascondono una storia, delle motivazioni, dei “confini” che li rendono più profondi di quanto la loro maschera esteriore possa trasmettere almeno a prima vista.

    Dopo l’ultima pagina, cosa vorrebbe che restasse nel lettore? E se dovesse convincere qualcuno a leggere Lungo il confine in tre motivi, quali sceglierebbe?

    Mi piacerebbe che restasse nel lettore il piacere di aver letto una storia “viva”, che attraverso le vicende dei suoi protagonisti possa portare anche a guardarsi dentro e scoprire quali sono i suoi personali confini, e grazie a quale dei personaggi ci si sia ritrovati ad affrontarli.

    Penso che, a prescindere dal genere e dalla cornice, leggere Lungo il confine possa essere letto per la variegata umanità che mostra, che altro non è se non lo specchio di quella che viviamo sulla pelle ogni giorno.


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    “L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

    Italo Calvino

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