Nel romanzo Il pilota da corsa edito da Capponi editore, l’autore Andy Cavalini ci offre una storia avvincente che fonde il rombo dei motori con il fragore delle emozioni interiori. Protagonista è Massimiliano “Max” Mancini, giovane pilota dal talento cristallino e dal temperamento inquieto, la cui vita cambia radicalmente dopo un drammatico incidente al Nürburgring.

Con uno stile asciutto, intimo e coinvolgente, il libro esplora il difficile equilibrio tra passione, senso di colpa e desiderio di riscatto. Il passaggio di Max dal mondo delle corse alla gestione dell’azienda di famiglia, Suprema, diventa un percorso di maturazione profondo, culminante in una sfida ad alta velocità che ha il sapore della rinascita.

Più che una semplice storia di motori, Il pilota da corsa è un romanzo sull’identità, sulla caduta e sulla forza di rialzarsi. Consigliato non solo agli appassionati di automobilismo ma a chiunque cerchi una lettura intensa, umana, autentica.

Intervista con l’autore

Cosa l’ha spinta a ambientare il suo primo romanzo proprio nel mondo adrenalinico delle corse automobilistiche: è stato il rombo dei motori, la sfida tecnica o la corsa interiore dei suoi personaggi a convincerla?

In realtà è stata una miscela di tutte e tre le cose. Amo il mondo delle corse per il suo lato spettacolare, per il rumore che ti entra nello stomaco e non ti lascia più, ma anche per la sua brutalità: vinci o perdi in pochi istanti, senza scuse, senza alibi. Tuttavia, ciò che mi interessava davvero raccontare era la corsa interiore del protagonista, il conflitto invisibile nascosto sotto la tuta e il casco.
La competizione motoristica, con i suoi limiti e i suoi rischi, era la metafora perfetta.
Non volevo parlare tanto di velocità e di cavalli, quanto del cuore che batte forte a ogni curva; l’adrenalina diventa così la porta d’accesso a qualcosa di più profondo, più intimo.

Max Mancini è un protagonista irrequieto e stratificato: come ha costruito la sua complessa psicologia e cosa troveranno in lui i lettori che cercano un eroe fuori dagli schemi?
Max è nato da una tensione “vera”, cioè il desiderio di correre più veloce della vita stessa senza però riuscire a sentirsi davvero all’altezza. Non è un supereroe, non è invincibile: è un uomo che sbaglia, che inciampa, che cerca ossessivamente un senso.
Ho voluto costruirlo a strati, alternando la fragilità al coraggio, l’ambizione alla paura.
Chi lo legge troverà un protagonista scomodo ma autentico.
Credo che sia questo il suo fascino: non rappresenta la perfezione, ma la verità di chi lotta ogni giorno contro se stesso, per crescere e migliorare. È una di quelle persone che – nella vita reale – ti irritano e al tempo stesso ti obbligano a guardarti dentro.

Dietro il rombo dei motori e la tensione in pista, Il pilota da corsa sembra raccontare anche la fatica di esistere e il bisogno di riscatto: quanto questa storia è, in fondo, una metafora della vita?
Credo che ogni storia di corse, se la guardi bene, sia sempre una metafora della vita.
In pista, come nella quotidianità, ci sono momenti in cui sei costretto a rischiare e altri in cui devi solo resistere. Gli errori pesano, i secondi persi difficilmente si recuperano, ma c’è sempre un nuovo giro per provare a fare meglio.
Nel romanzo, la fatica di esistere non è un ostacolo da superare, ma una condizione da accettare, trasformandola in spinta.

Se potesse lasciare un’unica scintilla nella mente o nel cuore di chi chiude l’ultima pagina del romanzo, quale sarebbe il messaggio che vorrebbe restasse acceso?
Vorrei che restasse la consapevolezza che la vera corsa non è contro gli altri, ma contro se stessi.
Viviamo in un mondo che ci spinge sempre a confrontarci, a dimostrare, a primeggiare, ma alla fine la sfida più difficile è guardarsi dentro e accettare chi siamo davvero.
Se il lettore, chiudendo il libro, sentirà anche solo per un attimo che non deve per forza essere perfetto per meritare di correre la sua gara, allora avrò vinto la mia, come autore.
La scintilla è questa: la libertà di vivere senza paura di sbagliare, perché ogni errore è solo una curva in più da affrontare senza sbandare.

Il bisogno di riscatto è quello che ci rende umani: tutti corriamo una gara invisibile, e vincerla non significa necessariamente salire sul podio, ma trovare il coraggio di non mollare.

C’è una scena che, mentre la scriveva, le ha fatto battere il cuore più forte del solito?
Sì, c’è una scena che mi ha emozionato più delle altre.
È il momento in cui Max Mancini, il protagonista, affronta la pista bianchissima nel deserto di sale a Bonneville.
È lì che comprende che non sta affrontando una competizione, ma un duello con i propri demoni – una sfida che vale più di mille altre.
Mentre la descrivevo, avevo il fiato corto come se stessi guidando io al suo posto.
È stato per me un momento di ‘fusione’ con il personaggio, in cui realtà e finzione si sono intrecciate.

Informazioni sull’autore

Andy Cavallini è un ingegnere comasco prestato al marketing che oggi lavora come product manager in una multinazionale high-tech italiana. Autore di numerosi articoli su riviste tecniche, ha anche scritto un libro sullo smart working, anticipando temi oggi più attuali che mai. Con Il pilota da corsa si cimenta con la sua prima opera di narrativa, portando la sua passione per la scrittura e i motori in un territorio nuovo, dove velocità, tecnologia ed emozioni si incontrano.


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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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