È inverno a Firenze. L’aria è tagliente, la città avvolta in un silenzio innaturale. Un silenzio che prelude alla tempesta. Nei vicoli più antichi, tra le ombre che strisciano sui muri rinascimentali, qualcosa si muove. Qualcuno osserva. Qualcuno agisce. La morte torna a camminare sulle strade della città dei Medici. E nessuno è più al sicuro.

Con “La strategia del bruco” Lilli Luini orchestra un giallo dalle venature thriller che non concede tregua, un viaggio ipnotico nelle profondità oscure dell’animo umano, dove la tensione cresce con la precisione di un veleno a rilascio lento. Ogni parola è un passo nel buio, ogni capitolo una porta che si apre su un nuovo incubo. Non c’è spazio per la distrazione. Non c’è tempo per respirare.

Luini, con la sua penna affilata e un istinto narrativo preciso e attento, mette in scena una danza mortale tra verità e maschere, e lo fa senza mai cadere nella trappola del cliché. Con alle spalle tredici romanzi, l’autrice si conferma una voce da scoprire nel panorama del giallo contemporaneo, capace di fondere introspezione, ritmo e visione, in un’unica corrente narrativa.

Il romanzo si apre nei primi, gelidi giorni di gennaio. Firenze si risveglia ma qualcosa è cambiato. La città ha smesso di dormire tranquilla. Un duplice omicidio scuote la città, una scena del crimine raccapricciante che lascia la polizia senza fiato. E poi, nella notte dell’Epifania, un secondo massacro. Una nuova coppia. Stesso modus operandi. Stesso silenzio che avvolge tutto. La stampa impazzisce. I fantasmi del passato si risvegliano. Le cronache rispolverano il terrore del Mostro di Firenze ma la verità, si intuisce presto, è più contorta.

A guidare l’indagine c’è il Commissario Castano, uomo solido con tanti casi alle spalle, ma la sua squadra ha bisogno di qualcosa di più. Di qualcuno che sappia leggere l’invisibile, scavare nel non detto, tradurre il linguaggio del Male. Entra in scena Lorena Montaldi: profiler, mente brillante e anima inquieta. Non è l’eroina infallibile che la narrativa spesso propone: è una donna vera, viva, imperfetta. Capace di vedere oltre ma spesso incapace di mettere ordine dentro di sé. La sua mente analitica è un’arma affilata ma il suo cuore – fragile, segnato – la rende indimenticabile agli occhi dei lettori. È questo dualismo che fa di Lorena un personaggio femminile magnetico: fragile ma mai debole. Forte ma mai distante. Attraverso i suoi occhi, entriamo nel mondo distorto del killer. Ogni omicidio è un messaggio. Ogni scena del crimine è un capitolo di un manifesto oscuro che solo Lorena può comprendere.

La narrazione si snoda come un filo teso sul baratro. Ogni pista sembra portare a una soluzione che poi si rivela sbagliata. Lilli Luini costruisce la trama con precisione millimetrica, senza mai lasciare che il lettore si senta al sicuro. Ogni svolta è un terremoto e ogni capitolo un campo minato.

Il ritmo è incalzante ma mai frenetico: è la tensione a muovere la storia, una tensione sotterranea, viscerale che cresce e non accenna mai a diminuire. Le descrizioni dei luoghi dei vari delitti sono raccapriccianti, disturbanti, rese con tale realismo che sembra di sentirne l’odore. I vicoli stretti, i negozi di lusso, l’umidità che si insinua nelle ossa: Firenze stessa diventa un personaggio, un’entità viva e inquieta che osserva senza intervenire.

La forza vera del romanzo è nella sua ambizione narrativa e psicologica. Luini rifiuta di ridurre l’assassino a una figura bidimensionale. Niente serial killer da manuale. Qui si scava. Si cerca. Si prova a capire. Il Male, in La strategia del bruco è un dolore che cerca vendetta. Una ferita aperta che ha trovato nella violenza l’unico linguaggio possibile. Ed è proprio questo che rende anche il titolo così potente. “Quello che per il bruco è la fine del mondo, per il resto del mondo è una farfalla”, una frase che racchiude l’essenza del romanzo: la soggettività della sofferenza.

“La strategia del bruco” è un giallo originale, un’indagine nell’animo umano, una riflessione crudele e lucidissima sul dolore, la vendetta, la verità. Una storia in cui ogni personaggio è vivo, complesso, indimenticabile. Una lettura che ti costringe a guardare nell’abisso.

Un libro ideale per chi cerca un thriller serrato ma anche profondo, dove la suspense si intreccia alla psicologia. Per chi vuole una protagonista vera, lontana dai cliché, e una storia che non si dimentica.

Un’opera originale e ben costruita che arricchisce il panorama narrativo italiano, soprattutto per aver dato voce a una figura come quella della profiler ancora poco indagata nella narrativa nostrana. Con La strategia del bruco Lilli Luini si conferma come una voce brillante del giallo emergente, capace di scrivere con ferocia e lucidità, con precisione e cuore. Chi ha paura del buio, è avvisato: in queste pagine il buio non si limita a spaventare. Ti guarda. Ti segue. E, alla fine, ti parla.

Intervista con l’autrice

Con La strategia del bruco ritroviamo il commissario Castano e la sua squadra, ma qualcosa sembra essersi mosso nel sottobosco narrativo. Cosa possono aspettarsi i lettori da questa nuova avventura nel crimine?

Chi mi segue da parecchio lo sa: per me il poliziesco si basa sulla vicenda che viene narrata, sul delitto, i suoi retroscena, la psiche dell’individuo che agisce e quella del mondo che lo circonda. Se volessi narrare le vicende sentimentali dei protagonisti scriverei un rosa, cosa che peraltro ho già fatto. I miei protagonisti, Lorena e Nicola, sono una coppia normale che fa un lavoro che normale non è. Si confrontano ogni giorno con il male, con il peggio dell’umanità, non hanno tempo di sfogliare margherite. Ovviamente tutta la squadra ha una vita privata e siccome mi piace narrare di tutti, non solo dei protagonisti, avranno sempre più voce. Ma ciò che più mi interessa è il loro contatto con

Come ha lavorato alla costruzione dell’indagine per renderla credibile ma anche spiazzante per il lettore?

Io parto da una situazione: in questo caso un uomo con un impermeabile nero che va a compiere un delitto. Non ho idea di chi sia quest’uomo, né perché uccida. Costruisco la vicenda passo dopo passo, senza fare progetti o scalette. So di avere di fronte lo scoglio peggiore, che è il primo snodo, quando la vicenda comincia a prendere una direzione. Superato quello, cammino verso il secondo, dove gli investigatori si fanno un’idea precisa. Da lì, arrivare al finale è più semplice, perché anch’io so dove stanno andando. Se spiazzo il lettore è perché sono spiazzata anch’io, scopro cosa è accaduto esattamente quando lo scopriranno loro.

Lorena Montaldi è una profiler affilata, determinata, ma dietro la corazza si intravede un’ombra interiore, un’inquietudine personale. Com’è nata l’idea di questa figura femminile e in che modo ha voluto raccontare la complessità di una donna che vive e lavora come profiler?

Lorena è nata una mattina in camper. Accompagnavo mio figlio ai tornei di tennis tavolo, ma non entravo in palestra, troppo stress. Da tempo volevo scrivere un poliziesco, ma mi mancava l’idea forte. Quel mattino, non so perché, ho pensato a una profiler, cioè a un lavoro che mi intrigava moltissimo. Ho buttato giù un primo capitolo e da lì è cominciata una storia. Lorena è diventata psicologa e profiler per via di quello che ha vissuto. Io credo che ciascuno di noi aspiri a un lavoro che in qualche modo abbia a che fare con chi è, con la sua vita, con la sua aspirazione a fare la differenza. Poi non tutti ci riescono, anzi, ci vuole una grande determinazione. In tutto quello che ho scritto finora ho sempre raccontato di donne forti, che sono state in grado di decidere della propria vita, superando dolori e difficoltà.

Come descriverebbe l’evoluzione della sua voce narrativa? Oggi, che tipo di autrice sente di essere diventata e quale aspetto continua a sorprenderla mentre scrive?

Ah, questa è una domanda difficile perché io non sono mai convinta di come scrivo. Certo, dalla prima pagina che ho scritto ad oggi è passato uno tsunami, ma per essere la scrittrice che vorrei mi manca ancora tanta strada. Che forse non riuscirò mai a percorrere, devo metterlo in conto. Ho iniziato a scrivere troppo tardi, non ho mai avuto abbastanza autostima per pensare di poterlo fare. La facilità con cui scrivo è quello che mi ha sorpreso e mi sorprende ancora, l’avessi scoperto prima…

Il giallo è un genere che resiste al tempo, ai gusti e alle mode. Secondo lei, qual è il vero motivo per cui continuiamo ad amare le storie di crimine? E cosa dovrebbe offrire un buon giallo oggi, al di là della caccia al colpevole?

Comincio dalla fine: mi piace che il giallo rappresenti il mondo in cui si sviluppa. Mi è capitato di leggere crime bellissimi ambientati nel passato, uscendone con una conoscenza dell’epoca che i libri di storia non sanno dare. L’occhio dello scrittore deve cogliere l’atmosfera, i valori e i disvalori, inserire la vicenda nel suo tempo insomma.
Perché piace? In gran parte perché è rassicurante: siamo bravissimi a dire “a me non capiterà mai”. A volte può essere vero, nel caso dei miei libri questo ultimo e il primo, Tre giorni prima di Natale, le vittime sono in situazioni specifiche. Ma quello che racconto in Qui i fiori non crescono e in Nessuna traccia dell’assassino… beh, quello può capitare a chiunque.

Domanda secca per chiudere: se dovesse convincere un lettore indeciso a leggere La strategia del bruco quali sarebbero tre buoni motivi per farlo?

Ah, io non saprei dirlo, li rubo ai lettori che mi hanno scritto, sono la peggior auto promoter che si possa immaginare! Allora, ecco cosa mi hanno detto. Primo, è un thriller da cui non riesci a staccarti. Secondo, i personaggi sono realistici e ti affezioni subito. Terzo, racconta gli omicidi senza essere spattler e i retroscena senza giudizi morali.


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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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