Articolo di Martina Greggi
C’è un filo sottile, ma robusto, che lega la scrittura all’idea di libertà. È un filo che, per secoli, è stato spezzato o soffocato dalla violenza: quella della censura, della dittatura, delle convenzioni sociali che decidevano chi potesse parlare, cosa potesse dire, e a quale prezzo. Scrivere era un atto pericoloso, e in molti casi lo è ancora, ma la differenza sta nello spazio che oggi, almeno in parte, si è conquistato: un luogo in cui la parola non è più soltanto strumento di oppressione, ma può diventare arma di liberazione, arte che resiste.
Un tempo scrivere significava esporsi alla punizione. Gli autori scomodi venivano messi a tacere, i libri bruciati nelle piazze, le parole cancellate prima ancora di nascere. La scrittura non era vista come espressione di libertà, ma come minaccia da controllare. Pensiamo ai regimi che hanno tentato di riscrivere la storia, di ridurre la letteratura a propaganda, di usare la lingua non per aprire, ma per chiudere. La violenza non colpiva solo i corpi: colpiva le parole, le idee, la possibilità stessa di pensare.
Eppure, proprio in quella stretta, la scrittura diventava più potente. Un romanzo nascosto in un cassetto, un verso copiato di nascosto, una testimonianza passata di mano in mano erano gesti di resistenza. La violenza cercava di soffocare, e la scrittura trovava vie segrete per respirare. Ma era un respiro corto, clandestino, che non poteva diventare esperienza collettiva, aperta, condivisa.
Oggi, invece, il contesto è cambiato. Non perché la violenza sia scomparsa, anzi, continua a manifestarsi in nuove forme, a volte più sottili, ma perché l’arte e la scrittura hanno conquistato un riconoscimento sociale che un tempo non avevano.
Oggi un libro può ancora disturbare, scandalizzare, essere censurato ma può anche viaggiare in rete, arrivare a lettori lontani, creare comunità di senso. La parola non è più confinata, non è più condannata a vivere in silenzio. La libertà non è totale, ma è possibile.
Scrittura e arte, in fondo, non sono mai stati semplici strumenti di bellezza: sono stati modi di dire “no” alla violenza. Ogni poesia che descrive la fragilità umana, ogni romanzo che scava nelle contraddizioni della società, ogni articolo che denuncia ingiustizie apre uno spiraglio verso un mondo diverso. La libertà non si misura solo nella possibilità di esprimersi, ma nella forza di immaginare alternative. L’arte, in questo senso, è la più radicale delle libertà: ci insegna a guardare oltre l’ovvio, a rifiutare il pensiero unico, a dire ciò che non si dovrebbe dire.
Il collegamento tra scrittura, violenza e libertà sta proprio qui: la violenza tende a chiudere, la scrittura ad aprire. La violenza semplifica, riduce, annulla; la scrittura racconta, ricostruisce. Dove c’è parola, c’è pluralità. E dove c’è pluralità, c’è la possibilità della libertà.
Un tempo, questo non era possibile. O meglio: era possibile solo per pochi, a caro prezzo. Oggi, pur tra contraddizioni, la parola è diventata più accessibile, più condivisibile, più capace di incidere. Internet ha cambiato le regole, dando voce a chi non l’aveva mai avuta. Le piattaforme digitali hanno trasformato la scrittura in un’arma diffusa, non più riservata a élite intellettuali. Questo non significa che tutto sia libertà: la rete è anche luogo di nuove forme di controllo, di odio, di manipolazione. Ma la differenza è che la parola oggi può circolare, sfuggire, reinventarsi.
La violenza continuerà a tentare di zittire. Ci saranno sempre libri banditi, articoli censurati, voci messe a tacere. Ma oggi chi scrive ha la possibilità di parlare comunque, di aggirare i muri, di farsi ascoltare. E questo è un cambiamento radicale: la libertà non è più un sogno proibito, ma una pratica quotidiana, fragile e coraggiosa.
Per questo la scrittura resta necessaria: perché è uno dei pochi strumenti che ancora permettono di trasformare la violenza in consapevolezza, la paura in comunità, l’arte in libertà. Scrivere oggi significa esercitare un diritto che una volta era negato, e che non possiamo permetterci di perdere.
La libertà della parola non è mai garantita per sempre: va difesa, nutrita, reinventata. Ma rispetto al passato, abbiamo un vantaggio che non possiamo dimenticare: possiamo parlare, possiamo scrivere, possiamo creare. E questa possibilità, che un tempo era proibita, oggi è il cuore stesso della nostra libertà.
