Acque Torbide (QB Edizioni, 2025) è un thriller psicologico dal ritmo serrato che affonda nelle pieghe della memoria, dei segreti e delle colpe sepolte. Quando Carolina ritorna sulla piccola isola di Selinara dopo vent’anni, per un weekend tra vecchi amici, si trova faccia a faccia con un passato mai davvero sopito: la tragica morte della piccola Anna, l’amore tormentato per Samuele, la sottile inquietudine che serpeggia tra brindisi e tuffi nel mare. Mentre l’atmosfera si scalda sotto il sole, ombre sempre più scure si insinuano tra risate e apparenti riconciliazioni. Qualcuno nasconde qualcosa. Qualcuno mente. E l’isola, apparentemente immobile, è pronta a restituire tutto ciò che è stato nascosto sotto la superficie.

A quell’epoca avevo sfiorato un matrimonio in piena estate, ma la cerimonia fu annullata per il più grande dei cliché: un tradimento. In quel periodo tra l’altro stavo rileggendo Dieci Piccoli Indiani, per quanto mi riguarda il miglior giallo del Novecento. Quindi credo il primo seme fu quello: un matrimonio con degli amici riuniti in cui ognuno avrebbe pagato per un passato che in qualche modo li accomuna. La situazione ideale per scandagliare i loro segreti, le loro bugie e i loro limiti personali.

Carolina è il nostro Virgilio in un certo senso. È lei a condurci sull’isola, al matrimonio, a quella rimpatriata, perfino alla verità di un passato che non l’aveva mai realmente lasciata. La sua evoluzione, senza dire troppo, è nella scelta che le permette di smettere di essere una spettatrice passiva e a prendere nelle sue mani il proprio destino. Nei lettori credo resti il percorso di accettazione e dolore di un personaggio che, spinto ai limiti, ha scoperto che era più forte di quanto avesse mai creduto.

Inizialmente l’isola doveva essere un personaggio con la stessa importanza di tutti gli altri. Una protagonista, a suo modo. Poi, nel corso della stesura della scaletta, è passata a essere un carceriere, lì, di sottofondo alle dinamiche d’intreccio e psicologiche della storia. E infine, quasi naturalmente, ha preso la sua reale forma: un giudice. Che, come sentenza, ha quella di farti specchiare nel mare intorno a lei e farti vedere la tua vera natura.

In realtà qui ho pensato che non fosse necessario creare chissà quale particolarità come dinamiche. Se andiamo a vedere, quasi tutte le tragedie (narrative o non), pongono le loro basi su concetti basilari ed estremamente umani: amore, tradimento (non solo di coppia), invidia, vendetta. Quindi l’idea di spingere dei personaggi al proprio limite e far uscire veramente quella natura umana che preferiamo spesso nascondere sotto lo zerbino, piuttosto che portarla alla luce e mostrarla al mondo, è stata la base per  la costruzione delle crepe che si aprono nella psicologia dei personaggi durante la stesura.

Mi è già stata fatta una volta una domanda del genere e, come allora, non penso che la risposta sia cambiata: rabbia e disagio. Come interrogativo, direi qualcosa che penso tutti ci siamo domandati, almeno una volta nella vita: quanto è davvero forte e resistente l’amicizia, quando si viene messi alle strette? La stessa amicizia su cui, pochi minuti prima, avresti fatto affidamento ciecamente. Questo perché credo che scrivere di ‘mostri’ non sia sufficiente, a volte. Trovo molto più interessante trattare di persone comuni che fanno cose mostruose. Onestamente mi spaventa molto di più.

Uuuuh. Che domanda! Che scrittore mi considero? Non saprei, lascio questo arduo compito ai lettori, anche perché di mio non sono un grande appassionato delle etichette. Viviamo già in una società che ne abusa, secondo me. Sul motivo per cui si dovrebbe leggere Acque Torbide… Per chi cerca una storia apparentemente come tante, che gioca sul labile confine tra verità e bugia, per poi sfociare in un intreccio dinamico e serrato, in cui si va a sgretolare la psicologia e le certezze dei personaggi, beh, potrebbe essere il libro giusto. Oltre che per tutti gli amanti del “Who’s Next?”, ma non dico altro altrimenti rischiamo lo spoiler ;)


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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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