Articolo di Jane Rose Caruso

In un’epoca scandita dalla fretta, dove le notizie corrono più veloci dei pensieri e le giornate sembrano una corsa ad ostacoli, riscoprire la bellezza della lentezza e dell’introspezione è un atto quasi rivoluzionario. Sempre più lettori, stanchi della tensione quotidiana e del bombardamento emotivo costante, cercano nella lettura una via di fuga — non per evadere, ma per ritrovarsi. Ed è qui che entra in gioco l’uplit, acronimo di uplifting literature, ovvero “letteratura edificante”. Una nicchia narrativa che sta conquistando il cuore di chi desidera romanzi che facciano stare bene, davvero.

I romanzi uplit sono un invito a rallentare, a respirare, a guardare con occhi nuovi anche ciò che sembra scontato. Ma attenzione: non si tratta di narrativa superficiale o puramente “di intrattenimento”. Questi libri parlano di fragilità, lutti, cambiamenti, momenti di smarrimento e di crisi personale. Ma lo fanno con delicatezza, con rispetto, e soprattutto con uno sguardo orientato alla luce. Alla possibilità del riscatto. Alla bellezza che può nascere anche dalle crepe.

A rendere speciale l’uplit è la sua capacità di farti sentire visto. Di parlarti come farebbe un amico sincero: senza giudicare, ma con empatia. I protagonisti sono spesso persone comuni, come noi: un’anziana signora che riscopre la gioia di vivere, un bibliotecario solitario che impara ad amare, una giovane donna che trova in una piccola libreria la chiave per ricominciare. Le ambientazioni sono familiari, quotidiane, ma dentro quelle pagine si nasconde qualcosa di profondamente trasformativo.

E non si tratta solo di evasione. L’uplit lavora in profondità: accarezza le ferite senza nasconderle, mostra strade alternative nei momenti bui, e ricorda che la resilienza è una forza potente, silenziosa, ma presente in ognuno di noi. Questi libri non risolvono i problemi — nessun libro può farlo — ma spesso aiutano a guardarli da un’altra prospettiva. A volte, bastano poche frasi per cambiare il modo in cui affrontiamo una giornata.

Lettura dopo lettura, l’uplit ci educa alla gentilezza, alla gratitudine, alla bellezza dell’imperfezione. In un mondo che ci spinge a essere sempre produttivi, forti, performanti, queste storie ci concedono il lusso dell’umanità. Ci ricordano che non siamo soli, che è normale cadere, e che si può ricominciare anche con piccoli passi, magari accompagnati da una tazza di tè e una pagina sottolineata con cura.

E forse è proprio questo il segreto del suo successo: l’uplit non pretende nulla. Non chiede di essere esperti, colti o “preparati” alla lettura. Apre le braccia a chiunque voglia lasciarsi toccare. Ti accoglie così come sei, nei tuoi momenti migliori e in quelli peggiori, e ti dice: “Va bene così, sei umano. E sei abbastanza”.

Per chi sente il bisogno di una lettura che non sia solo coinvolgente, ma anche nutriente, per chi cerca un libro che illumini senza accecare, che commuova senza deprimere, l’uplit è un porto sicuro. Non sempre cambierà la vita, ma saprà migliorarla — anche solo per il tempo di una lettura. E forse, proprio per questo, è il genere letterario di cui oggi abbiamo più bisogno.

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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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