Nel suo libro Quei giorni in Provenza (Linea Edizioni, 2025) Alessandro Bencivenni firma un delicato e profondo road movie della memoria. Il racconto di un viaggio estivo compiuto da una famiglia — padre, madre e figlio — si trasforma in un itinerario dell’anima, dove ogni tappa diventa un frammento prezioso di ciò che resta: non solo luoghi vissuti, ma emozioni incise nel tempo. Tra bistrot, musei e paesaggi intrisi di luce, il libro evoca un’idea di bellezza che non è mai fine a se stessa, ma specchio di un legame familiare solido e autentico.
Un’opera intima, lieve e struggente, che rivela tutta la forza della memoria condivisa. Ne parliamo con l’autore per scoprire genesi, ispirazioni e significati di questo viaggio indimenticabile.

Buongiorno Alessandro,come è scattata la scintilla per la scrittura di Quei giorni in Provenza e a quale genere letterario fa riferimento?
Il libro nasce dai diari di mia moglie Patrizia Busacca ed è esso stesso un diario. È anche una sorta di making-off del suo romanzo “Madri gotiche”, di cui ho curato la pubblicazione postuma e che fu presentato al Premio Strega nel 2021. Credo che fosse importante, a corollario di quel libro assai più intenso e drammatico, rendere testimonianza della capacità di Patrizia di far vivere me e mio figlio, all’epoca poco più di un bambino, nella maniera più positiva e luminosa possibile nonostante l’allungarsi dell’ombra cupa della malattia.
La dinamica tra padre, madre e figlio è elemento centrale nella narrazione. Quali aspetti delle relazioni familiari voleva mettere in luce attraverso questo viaggio?
Il dato più importante mi sembra quello della condivisione dell’amore. Non l’amore romantico, celebrato in tutti i romanzi, ma l’amore familiare: vissuto senza sentimentalismi, con intensità e leggerezza. Ciascuno dei personaggi affronta quella situazione difficile con i propri strumenti: la madre il coraggio, il padre l’ironia, il figlio l’innocenza.
La Provenza è presentata come una terra sospesa tra arte, letteratura e natura. Perché ha scelto questa ambientazione e quale atmosfera possono aspettarsi i lettori?
La Provenza per mia moglie era un luogo dell’anima. Il mio tentativo è stato quello di raccontare il nostro itinerario in modo dettagliato e realistico, ma al tempo stesso evitando gli effetti da cartolina. Mi piacerebbe che il lettore potesse riconoscere nel nostro viaggio le emozioni intime tipiche di ogni viaggio familiare. Ma con il valore aggiunto di un patrimonio di arte e di bellezza che arricchisce lo sfondo e diventa una sorta di antidoto contro le avversità.
Qual è il messaggio che spera arrivi alla fine del libro?
Spero che trasmetta un messaggio di resilienza e al tempo stesso celebri il valore straordinario della normalità. “La normalità l’apprezzi solo quando la perdi”, si dice in una battuta del libro. Ho voluto celebrare l’importanza delle cose semplici, raccontandole con una prosa sintetica e priva di retorica. Memore della visita all’atelier di Cézanne, ho provato a mettere a frutto la sua lezione: poiché il grande artista ha ritratto per tutta la vita oggetti di uso comune, con l’intento di svelarne i segreti e la magia.

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