
Proprietà Privata, Julia Deck, Prehistorica Editore 2025, 180 pagine.
Recensione di Maria Laura Zazza
Con il suo secondo romanzo, Proprietà privata, Julia Deck ci offre un’opera tagliente e disturbante, una vera e propria dissezione del concetto di spazio privato e del bisogno quasi viscerale di difendere ciò che consideriamo “nostro”.
Pubblicato in Francia nel 2019 e ora finalmente in Italia grazie a Prehistorica editore – la casa editrice che porta nel nostro paese il meglio della narrativa francese – questo libro è un affondo chirurgico nell’ossessione della quiete e dello spazio privato. La versione italiana, tradotta da Lorenza Di Lella e Francesca Scala, restituisce con precisione e sensibilità l’equilibrio tagliente della prosa di Deck.
Il romanzo si apre in tono apparentemente innocuo: Eva e Charles acquistano una casa in un ecoquartiere di periferia, pronti a realizzare il sogno di una vita. Ma ecco il twist: dall’altra parte del muro arrivano i Lecoq, la nemesi in forma di vicinato. Annabelle, vicina invadente, seduttiva, sfacciata, e un gatto rosso che si prende la libertà di entrare dove vuole, quando vuole. Il sogno idilliaco va in pezzi.
La narrazione si snoda come un thriller, ma è anche una satira sociale pungente e ironica, che smaschera con precisione le ipocrisie del vivere comune. L’inquietudine cresce lentamente ma inesorabilmente, fino a culminare in un’idea assurda quanto tragicamente comprensibile: l’omicidio del gatto rosso dei vicini, simbolo di un’invasione intollerabile.
La paranoia monta, l’odio cresce, le maschere cadono. L’omicidio del gatto non è una follia: è un gesto disperato, simbolico, fin troppo umano. E dietro il sorriso amaro che alcune scene possono strappare, si cela un terrore profondamente contemporaneo: quello dell’altro che invade, disturba, rompe l’illusione di controllo.
Chi sono i buoni? Chi i cattivi? Non è questa la domanda giusta. La vera questione è: quanto siamo disposti a sacrificare pur di mantenere intatta la nostra comfort zone? Proprietà privata ci mostra che la risposta può essere “tutto” e ci costringe a confrontarci con la fragilità delle nostre convinzioni, a riflettere sulla natura difensiva e a volte aggressiva del concetto di proprietà.
Deck non fa sconti. Non cerca consolazioni: ci sbatte in faccia il nostro bisogno di confini e la nostra incapacità di tollerare l’altrui presenza, restituendoci il ritratto inquietante di una società che ha fatto della casa un fortino e dell’altro un nemico. La scrittura di Deck è affilata, precisa, senza sentimentalismo. Questo romanzo è un pugno nello stomaco, un esercizio di autopsia sociale che lascia il lettore spiazzato, infastidito, e – cosa rara – costretto a interrogarsi.
Per chi crede che la letteratura debba accarezzare, questo libro sarà un trauma. Per chi pensa che debba mordere, sarà un piccolo capolavoro. Un libro necessario, che mette a disagio, come tutte le letture che costringono a pensare.

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