Articolo di Valentina Gattuso

In un popolo come quello giapponese, in cui la tradizione si mescola al moderno, i gatti, e in particolare la neko bungaku, la letteratura dei gatti rappresenta un fenomeno molto amato e affermato. Questi animali, che siano yamaneko (gatti di montagna), bakeneko (gatti yōkai), nekomata (anch’essi yōkai) o il popolare e conosciutissimo manekineko (il gatto portafortuna per eccellenza), popolano fin dai tempi antichi il folklore, le fiabe e le leggende del Giappone, suscitando curiosità e al tempo stesso paura e magia.

Numerosi sono infatti gli shōsetsu (romanzi) in cui il gatto diventa il protagonista principale: dal meraviglioso Il gatto venuto dal cielo di Hiraide Takashi, dove il protagonista diventerà una medicina silenziosa tra un marito e una moglie ormai lontani, al dolce e delicato La mia vita con i gatti di Morishita Noriko, dove, in una narrazione in stile diario, Mimì – una gatta dagli occhi profondi – rappresenta il desiderio di felicità espresso dall’autrice dopo una visita a un santuario shintoista.

Anche il grande scrittore del Giappone moderno, Natsume Sōseki, con Io sono un gatto, in cui la storia dell’umanità in epoca moderna viene narrata da un piccolo felino filosofo, scettico, intelligente e senza nome, che osserva con occhi critici ed esprime idee e riflessioni su numerosi temi sociali – cosa che l’autore, da uomo, non avrebbe potuto fare liberamente – testimonia quanto questi felini siano legati a tradizione e modernità.

In Giappone i gatti sono considerati creature magiche, in grado di vedere oltre la vita. Se si pensa che, in quest’isola lontana, esiste un luogo come Aoshima – isola famosa per il numero di felini che supera considerevolmente quello dei suoi abitanti – si può capire quanto queste creature siano amate.

Numerose sono anche le apparizioni dei felini nelle stampe ukiyo-e (“immagini del mondo fluttuante”), illustrazioni artistiche del periodo Edo, dove un Utagawa Kuniyoshi li ritrae potenti, astuti e ingannatori.

Per attingere nuovamente al moderno, come non ricordare i famosi “neko caffè”: caffetterie dove, in compagnia di queste adorabili creature che vi abitano, è possibile sorseggiare un caffè e dedicare del tempo a questi animali da compagnia.

La scaramanzia ha portato anche a delineare nei gatti caratteristiche legate alla fortuna. Un neko dal pelo bianco infatti – colore che, sebbene originariamente associato al lutto (shiro, il bianco, era simbolo di morte), è considerato fortunato se indossato dagli animali – è visto come raro e portatore di buona sorte. Murayama Saki ne parla nella sua narrazione fiabesca Hyakka no maho – A volte basta un gatto, dove il protagonista è proprio un felino bianco, considerato magico.

Un’ottima lettura di approfondimento sul tema felino tra i vari autori giapponesi che ne hanno raccontato storie e leggende è A ogni gatto il suo autore – Gatti e scrittori nel Giappone contemporaneo di Fabiola Palmieri. Numerosi sono i riferimenti e le opere citate in relazione al legame uomo-animale che si tramanda tra passato e presente in questa nazione, dove molto spesso gli animali, principalmente i gatti parlano, si trasformano, comunicano emozioni, grazie alla loro particolare espressività, che li rende liberi e privi delle regole dettate dalla società.

Piccola postilla per i gattofili locali: ho letto per puro caso un articolo che forse non tutti conoscono. Nella città di Triora, “il paese delle streghe”, sorge un monumento in cui un imponente gatto di bronzo alto tre metri, chiamato Grand Pardon, creato dagli artisti Svetlana Lin, Alexander Orlov e l’artista Elena Rede, ricorda a tutti il rispetto e condanna la crudeltà verso queste creature – in particolare i gatti neri, considerati portatori di male – e verso le donne accusate di stregoneria, perseguitate tra il 1587 e il 1589. Questo è un messaggio forte di rispetto verso tutte le forme di vita.


“Ano  neko”,  “kono  neko”,  “minna  neko” !!
Quel  gatto , questo  gatto, tutti  gatti !!


A ogni gatto il suo autore  

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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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