
Scie, Diego Tardani, PAB Editore 2025, 204 pagine.
“Scie” è la storia di Matteo e Alice, due giovani che vivono tra sogni, passioni e sfide quotidiane. La loro esistenza sembra perfetta, ma qualcosa non quadra. La narrazione esplora i confini tra realtà e illusione, interrogandosi su cosa significhi davvero imparare a crescere. Attraverso una narrazione che alterna il punto di vista dei due ragazzi, il lettore è condotto in un viaggio emotivo che esplora le linee sottili tra cosa si vorrebbe e cosa davvero accade. In un mondo in cui la realtà spesso ha diverse interpretazioni, la verità è l’unica cosa che non può essere mai creata, ma solo accettata.
Com’è nata l’idea di Scie?
Massimo Troisi e Gino Paoli, in due momenti storici diversi, hanno definito la malinconia uno come “Poesia” l’altro come “estrema attenzione al tempo che passa”. Ero più giovane di adesso, ma quando ho ascoltato queste due definizioni mi sono sentito immediatamente un loro naturale sostenitore e discepolo. Sono sempre stato attento e ho catturato questa storia che passava davanti a me, come forse davanti a tutti quanti. In più, per mia fortuna, sentivo il bisogno di voler dire una cosa a chi era più piccolo di me. Volevo mettere in guardia quanto più possibile.
L’idea dello sviluppo narrativo è stata una naturale conseguenza di ciò che avevo intenzione di condividere con tutti.
Il romanzo alterna i punti di vista di Matteo e Alice. Ci presenti questi protagonisti e cosa ci rivelano le loro prospettive sulla storia?
Incontriamo Matteo e Alice dal loro primo respiro. Chi legge può scegliere se essere amico o osservatore. Io ho cercato di costruire empatia, ma ogni lettore (ho imparato) è davvero imprevedibile. Qualunque sia il ruolo che il lettore sceglie di avere, Alice e Matteo sono (per me) lo specchio di diverse bellissime fragilità. L’aspetto più bello della giovinezza, per me, è la sfacciataggine dell’inesperienza. In questo senso di sicurezza e infinita potenza si nasconde il più grande slancio, ma anche il più grande limite di ogni giovane che cresce. Si pensa di sapere tutto e solo scontrandosi contro la realtà si capisce, giorno dopo giorno, quanto si è impotenti davanti al destino e alla realtà stessa.
Matteo, più precisamente, ci porta attraverso una fase di crescita adolescenziale, dove ogni parte della vita rappresenta una sicurezza. Questi cardini subiscono a volte degli scossoni, ma il terremoto più grande, anche se bello, è ritrovarsi innamorati.
Alice cresce in fretta nella storia, a lei spetta portarci dentro una fase diversa della crescita in cui si hanno più chiare le idee su cosa pensiamo di essere e, soprattutto, cosa pensiamo di volere.
Matteo soffre i cambiamenti. Alice cerca la “magia”, entrambi non sanno davvero ancora chi sono e qualcuno glielo farà capire molto bene.
Matteo e Alice non sono in questa storia per rivelarci nulla, loro due hanno solo il compito di avvisarci di un inganno più grande. Entrambi ci spingono ad andare fino in fondo senza averne paura.
Uno dei temi centrali è il confine tra realtà e illusione. Secondo quanto si legge nel libro, dove finisce ciò che desideriamo e dove inizia ciò che viviamo davvero?
Il confine dipende da quanto il nostro cuore è disposto a sopportare il fatto che a volte il bene non vinca, che l’amore non sia amore. Il desiderio a volte muore quando facciamo i conti col solo e più importante dei processi cognitivi: l’accettazione della realtà.
Essere dei sognatori è utile quando il percorso per raggiungere ciò che si desidera ha un beneficio su noi stessi, quando ci guida verso qualcosa di utile davvero. L’utopia è una parola meravigliosa, ma per quanto sia, per definizione, irraggiungibile, riesce comunque a mandarci avanti. Questa per me è la parte più sana di un desiderio.
Matteo e Alice in questo senso sono un desiderio benefico, crudo sì, ma molto positivo. Chi legge, capirà.
La storia parla molto del processo di crescita: quale visione emerge dal libro?
Darwin ci ha tramandato una lezione davvero importante, dobbiamo evolverci per sopravvivere. Evolverci significa due cose, secondo me: accettare e cambiare.
Tra le due fasi, la prima, a mio parere è quella più difficile in assoluto.
La realtà ci si presenta in maniera molto semplice e diretta, purtroppo non siamo programmati per vederla esattamente per come è, tendiamo ad interpretarla, questo non ci aiuta ad accettare le cose per come sono. Alice e Matteo hanno questo limite e in maniera istintiva, e inconsapevole, si ribellano a questa “tortura”, che le giornate spesso siano tutte uguali, che il tempo possa sembrare sciapo e piatto. Che “non succeda niente”. Entrambi non sanno la verità, che sono parte di un percorso di accettazione più grande. Del resto noi non siamo mai solo noi stessi, facciamo tutti parte di qualcosa di più grande, di cui nessuno ha conoscenza.
Se dovesse descrivere il suo romanzo con un solo aggettivo, quale sceglierebbe? E a chi ne consiglia la lettura?
Doccia gelata è l’aggettivo.
L’ho scritto quando avevo 27 anni, ore ne ho 42. Mi ha sorpreso che la casa editrice ritenesse il tema rilevante, anche se mi ha fatto piacere. Io penso che questa storia possa far tornare indietro i più grandi (un salto nel passato non fa mai male) e faccia sentire meno soli quelli giovani.
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