Campane tibetane, Sabrina Guerrieri, Set Art 2025, 148 pagine.

Con il suo nuovo romanzo Campane Tibetane, pubblicato a marzo 2025 da Set Art Editore, Sabrina Guerrieri firma un’opera che segna un punto di svolta nella sua già raffinata produzione letteraria. Dopo il successo del recente romanzo Alice e le altre, la scrittrice torna a immergersi nei territori frastagliati dell’animo umano, ma lo fa con una narrazione ancora più affinata.

Se il suo precedente lavoro si era distinto per l’abilità nell’esplorare la psiche femminile, Campane Tibetane scava ancora più a fondo: qui Guerrieri affonda la penna nel dolore crudo del lutto e nell’oscurità della mente, portando alla luce i fili invisibili che tengono unite (e spesso intrappolate) le relazioni familiari.

La storia ruota attorno alla morte improvvisa di Rodolfo morto in un incidente aereo tra il Nepal e l’Italia. È da questa tragedia che inizia il lento, lancinante disgregarsi della famiglia protagonista. Il fratello Marcello, voce narrante e baricentro emotivo del romanzo, si fa portavoce di un dolore che si insinua come un veleno nelle vene della quotidianità. L’autrice è maestra nel restituirci una sofferenza senza edulcorazioni, in una narrazione che sa essere tanto spietata quanto profondamente empatica.

Marcello non è un eroe, non è un esempio: è un uomo spezzato. E proprio nella sua fragilità e inquietudine sta la forza di questo libro. Il suo viaggio in Nepal, in cerca di verità ma forse ancor più di senso, si trasforma in un pellegrinaggio dentro se stesso, in un itinerario di frattura e trasformazione. L’incontro con Alisha, giovane donna nepalese dal fascino misterioso, sembra offrire una via di fuga, un appiglio emotivo. Ma Guerrieri, fedele alla complessità dei suoi personaggi, non cede a scorciatoie sentimentali: quell’amore diventa presto ossessione, e con un colpo di scena denso di tensione drammatica, il ritorno inatteso di Rodolfo sconvolge ogni equilibrio, dando vita a un triangolo emotivo carico di ambiguità, desiderio e rivalità fraterna.

Ciò che colpisce è la scrittura lucida, tagliente, mai compiacente. Guerrieri alterna con sapienza momenti di introspezione struggente a passaggi che sfiorano il thriller psicologico. La trama è sostenuta da una prosa elegante e profonda, capace di dar voce non solo ai pensieri dei personaggi, ma anche alle atmosfere che li avvolgono.

Indimenticabili sono le descrizioni del Nepal: i paesaggi himalayani, le strade polverose, i templi dove risuonano le campane tibetane diventano quasi personaggi a loro volta. C’è un equilibrio perfetto tra l’esterno e l’interno, tra il silenzio contemplativo dei luoghi e il caos interiore che domina Marcello e gli altri protagonisti. Le campane tibetane, con il loro suono ancestrale e ipnotico, scandiscono il tempo della narrazione, fungendo da eco simbolica del dolore e della ricerca interiore.

Campane Tibetane è un romanzo che non si dimentica, non solo per la forza emotiva della storia, ma per la capacità dell’autrice di tradurre in parole i moti più impercettibili dell’animo umano. Guerrieri racconta la perdita, la colpa, l’amore e la disillusione con una sincerità rara e potente. Non cerca risposte facili, non consola: ci mostra invece quanto sia difficile – e talvolta impossibile – trovare una via d’uscita dal dolore.

Alla fine della lettura si resta con il fiato sospeso, con una malinconia sottile. Ed è proprio in questo struggente senso di sospensione e ricerca di senso che risiede la grandezza di questa opera.

Lo sa che ha proprio ragione Marcello. A volte, per sapere la verità, le parole sono superflue.

Campane tibetane

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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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