Articolo di Andrea Sartore

La vicenda umana e giudiziaria di Socrate può essere letta attraverso più livelli. Il primo, più esplicito, è quello di un uomo scomodo allo status quo, alla classe dominante, ai giannizzeri sempre pronti a eseguire gli ordini, a fare da cassa di risonanza alla voce del padrone. Il secondo, più silenzioso e subdolo, è un livello che interroga ogni individuo di ogni tempo e il suo ruolo in una società civile, democratica, costruita sul senso di giustizia e la capacità di dialogo.

Perché se è vero che l’accusa – infondata – con cui Socrate viene portato a processo è costruita ad arte dal mondo del primo livello, è vero anche che quell’accusa è germogliata trovando terreno fertile in una condizione psicologica di accondiscendenza, da un’attitudine borghese di incomprensione verso un uomo troppo fuori dagli schemi per essere digerito che appartiene invece al secondo livello di lettura. Ergo: noi tutti. Il tessuto civile e sociale di un paese.

Per dirla senza giri di parole: Socrate dava fastidio. Che nella quotidianità degli ateniesi, intenti com’erano alle loro occupazioni e i loro pensieri, ci fosse anche solo la remota possibilità di incontrare sul proprio cammino quest’uomo: meditabondo, senza pretese pecuniare, incorruttibile, che passava il tempo a interrogarle, a cercare di renderle consapevoli dei loro pensieri, delle loro azioni, che li stimolasse alla formazione di un pensiero critico, a un senso civico; tutto questo, e non altro, a Socrate non si poteva in alcun modo perdonare.

E’ per queste ragioni che la sua esecuzione diventa un monito che si riflette in ogni tempo su chiunque voglia intraprendere faticosamente il suo cammino. Come le onde di una piccola pietra lanciata in uno stagno. Circolare e limpido. Diafano. Ma la grandezza dell’uomo Socrate, ancor prima del filosofo, è tutta racchiusa nell’Apologia, nella sua difesa di fronte al popolo di Atene. Ed è a questa parte che è dedicato il cuore di questo articolo.

Perché l’Apologia è un testo imprescindibile nella traiettoria della crescita di un individuo. Perché ci insegna che non esiste vita degna di essere vissuta se priva di ricerca, in primis verso se stessi, poi verso gli altri e in ultimo verso il mondo. Perché è una secolare testimonianza sul peso, fisico e spirituale, dell’identità, sulla sua spasmodica ricerca e protezione, anche a costo di perire per difenderla. Lo dirà lui stesso, a scanso di equivoci,  che la salvezza era a portata di mano, ma per uno con la sua natura sempre troppo distante, sempre irraggiungibile. Un passo al di là di quanto potesse mai chiedere a se stesso. Al suo corpo e al suo spirito:

Mi rivolgo a voi, miei giustizieri, per un’altra cosa. Forse pensavate, signori che mi avete condannato, ch’io sia caduto per l’incapacità di maneggiare le parole con le quali avrei potuto anche piegarvi, avessi ritenuto necessario far di tutto, dir di tutto in modo da evitare la sentenza. Ce ne corre, Per incapacità sono caduto, non di argomenti, ma di sfacciata impudicizia, per non accettare di parlarvi con il tono, e delle cose, che vi sarebbe tanto piaciuto udire con le vostre orecchie, Socrate che frigna e batte i denti, e fa e racconta un mucchio d’altre cose indegne di se stesso – ve lo dico ancora –  ose che siete abituati fin troppo a sentire.

In ultimo, la figura e la vicenda di Socrate ci ricorda, a più riprese, quale sia il cuore pulsante della filosofia, il suo sangue eterno e inestinguibile: un infaticabile, inesauribile in quanto infinito, viaggio a ritroso in cerca di un principio (probabilmente) introvabile. Un continuo disvelare, svestire, grattare il fondo della realtà. E la cosa  magnifica, oggi di difficile comprensione per un mondo a trazione economicista, è questa assurda, sensuale,  innumerabile ed eterea dimensione che accompagna la possibilità (se non la certezza) di fallire nel cammino. Perché, forse, non esiste esercizio contemporaneamente più fertile e frustrante della filosofia. Escludendo la vita.


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“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.”

Italo Calvino

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